Intorno al film Voluptas dolendi. I gesti del Caravaggio
Un’unica strategia espressiva per musica e pittura
 
[…] Se ad essere impresse sulle tele del Caravaggio non sono idee astratte, concezioni filosofiche, bensì la realtà, gli oggetti e gli esseri viventi, sempre copiati dal vero, esplorati nelle relazioni di spazio e di luce che tra di essi intrattengono generando combinazioni ritmiche ed emotive, l’omaggio dell’arpista Mara Galassi e della danzatrice-attrice Deda Cristina Colonna all’arte di Michelangelo Merisi pare davvero uno dei più illuminati e fecondi fra i numerosi proposti negli ultimi anni. Spettacolo di musica, danza, recitazione presentato nel 2002 all’interno della stagione della Fondazione Marco Fodella di Milano, è divenuto ora un film, Voluptas dolendi. I gesti del Caravaggio, diretto da Francesco Vitali (che già nella versione originaria aveva curato le luci e che è qui pure direttore della fotografia) e prodotto dalla stessa Fondazione, conservando però saggiamente un vibrante respiro ‘dal vivo’. Scenario è l’ombrosa basilica milanese di San Marco, fondata nell’XI secolo e più volte rimaneggiata nel tempo (moltissimi sono gli interventi di fine Cinquecento), in cui, attraverso gli arabeschi gestuali ed espressivi di Deda Cristina Colonna, i dipinti del Caravaggio prendono vita, evocati più che ricreati, abitando e percorrendo gli spazi: un luogo composito, di cui sfuggono le direttrici e i confini, che – come nei quadri del Merisi –, negate le sicurezze prospettiche del Rinascimento, viene sperimentato e misurato empiricamente nella dialettica luci/tenebre. A squarciare la penombra sono soprattutto le fiamme vive delle candele, e anche quando si accendono bagliori lattiginosi l’effetto è di luce naturale, radente o pervasiva. Qui, a penetrare l’arte del Caravaggio rivivendola, fiorisce un intreccio simbiotico di linguaggi, talora dall’intertestualità vertiginosa: Mara Galassi suona all’arpa doppia (una copia dell’‘Arpa Barberini’ del 1630 circa) pagine più o meno contemporanee alla parabola caravaggesca; Deda Cristina Colonna scandisce lacerti di testi (non solo, ma in primo luogo Baglione, Bellori, Marino, suggestioni, testimonianze e cronache dell’epoca), alternandoli ora a ricami di danza tardorinascimentale-barocca – di cui è sublime studiosa e interprete –, ora al miracolo di vibrazioni del corpo e del viso che si trasmutano sfiorando, nel cangiare, pose e volti dei dipinti di Caravaggio. […]   Le pagine di fine Cinquecento e inizio Seicento suonate da Mara Galassi nel film (e Frescobaldi vi ritorna sovente) non fungono quindi soltanto da accorta colonna sonora filologica, ma accendono un intreccio magico di correspondances con i gesti caravaggeschi che Deda Cristina Colonna agisce fisicamente, al punto che essi (i gesti, idest i quadri del Caravaggio che intorno ad essi si strutturano) paiono sgorgare simbiotici da quelli che sono anzitutto gesti musicali. Come le pagine strumentali del primo barocco danno vita a discorsi dinamici, che si accendono e si consumano man mano che prendono corpo, esaltando la magia dell’effimero in un procedere di densità e allentamenti, pieni e vuoti, tensioni e distensioni, quasi traduzioni estemporanee del cangiare inesausto degli affetti pronti a condensarsi in gesti di punteggiatura drammatica, così, nel film, i quadri del Caravaggio s’inanellano musicalmente e si profilano come visioni inafferrabili, come coaguli in presa diretta di eccessi d’espressione. Non è certo una novità il fatto che, nel supremo imperativo del ‘muovere gli affetti’, la musica del primo barocco risulti intrisa di elementi retorici e gestuali; analogamente è noto che di tali elementi retorici e gestuali si nutre la pittura del Caravaggio. Mai però, fino ad ora, si erano fatti interagire i due piani evidenziandone le corrispondenze; il che consente di cogliere appieno la componente drammatica della musica e, insieme, di sperimentare la struttura ritmico-musicale della pittura. Ne scaturisce così, grazie all’elemento di raccordo e intersezione costituito dalla gestualità fisica musicalmente scandita di Deda Colonna, la folgorante scoperta di come ad essere sottesa a musica e pittura vi sia, in tutta evidenza, un’unica, medesima strategia espressiva. […] L’amore della giustapposizione e del contrasto che informa la musica del primo barocco è sotteso al susseguirsi delle sequenze filmiche: mutando clima, su danze di anonimi di metà Cinquecento Deda Cristina Colonna avanza verso lo spettatore, lo fissa, lo invita e lo seduce. Il rosso acceso delle vesti sontuose, il carminio delle gote, i piedi nudi che disegnano coreografie lievi e vitali palpitano dell’irresistibile sensualità caravaggesca; l’espediente della steadycam ci trascina nel ballo.
Accogliendo le sollecitazioni della musica, dando fondo a un campionario virtuosistico di pantomima, la danza scivola nella Buona ventura, ora respirando della malìa sanguigna della zingara, ora sfiorando la lettura della mano, l’attesa timorosa del futuro, la beffa furtiva dell’anello sfilato. E poi, tra due dolorosi muri scrostati che feriscono al pari della tragica parete del Seppellimento di Santa Lucia, si staglia l’apparizione di Deda Colonna che imbraccia un canestro di frutta: sulla musica mesta di Laurencinus Romanus (1550-1608 circa), le mani si raccolgono al petto come nel Bacchino malato, e ancora si apprestano ad evocare il Fanciullo che monda un pomo; i gesti sono carnali: irrompe l’animo vorace di Caravaggio, nella lama argentea di un coltello, nella mela al fine addentata, nel turbamento delle labbra turgide e umide di natura. Un cesto, dunque, dei pomi (impossibile non avvertirvi pure il brivido d’infinito delle mele di Cézanne), un coltello: cose, oggetti, che si caricano di valore espressivo e simbolico, divengono ‘soggetti’; la fame di Vero caravaggesca, nel momento in cui attinge alla realtà, vanifica la gerarchia dei temi. Così, citato Carel Van Mander che, nel 1603 scriveva: «Là c’è anche un Michelangelo da Caravaggio che fa a Roma cose meravigliose», Deda Cristina Colonna raccoglie una brocca di vetro (e ciò basta per riandare al Ragazzo morso da un ramarro o al Suonatore di liuto) rovesciandone l’acqua; l’acqua diviene la protagonista: il suo scrosciare si intreccia alla Toccata di Frescobaldi sgranata da Mara Galassi, ed evoca ora purezza, ora, tramutata in specchio liquido in cui cadono perle, vanità; ora, gocciolante sul viso dell’attrice-danzatrice, languida voluttà. Mentre la voce scandisce Quam pulchra es dal Cantico dei Cantici (Monteverdi ne fece un mottetto per tenore solo), il fremito sensuale creatosi s’incarna e, insieme, si placa nella posa della Maddalena penitente. L’intermezzo vitale in cui le Partite sopra Fidele di Ascanio Mayone (?-1627) cadenzano la pantomima dei Bari gradualmente trabocca in un duello (le ombre meravigliose ne enfatizzano i gesti): a mezza figura si recita la condanna a morte che colpì Caravaggio dopo l’uccisione di Ranunccio da Terni costringendolo alla fuga. Ed ecco, di nuovo, l’acqua: è la volta del Narciso, con la fotografia che ne coglie il riflesso realizzando uno dei momenti più suggestivi del film, finché la musica ­– è Frescobaldi – scandisce (anzi, pare sia essa ad indurla) la metamorfosi del giovane innamorato di sé nel Ragazzo morso da un ramarro, e ancora nella Maria di Cleofa della Deposizione, nella smorfia della Medusa (e ci ricorda – il viso deformato di Deda Colonna – quanto dovettero influire su Caravaggio gli studi sui ‘moti dell’anima’ di Leonardo).
Il gesto della testa mozzata accende, perfetto, il Davide con la testa di Golia di Vienna, prima che una Passacaglia di anonimo romano del primo Seicento (e Mara Galassi la offre esaltandone una bellezza che sa di delicatezza sublime) accompagni il rito di una vestizione magica: l’abito dell’inizio, smembrato sino a una tunica chiara, si orna di due ali, e Deda Cristina Colonna si fa così angelo. Utilizzando come perno gestuale l’indimenticabile braccio levato del Cristo della Vocazione di San Matteo, il principio barocco della metamorfosi si dipana in molti degli angeli caravaggeschi: quelli della Cappella Contarelli, quello del Riposo dalla fuga in Egitto, quello visionario, dall’alto col braccio destro proteso, delle Sette opere di misericordia; «il contrasto tra il mondo terreno e quello angelico – ha ben sottolineato Dinko Fabris in un saggio recente, I gesti e i suoni del Caravaggio in un film, «AAM . TAC», 5, 2008 – è perfettamente reso dalle Durezzefrescobaldiane eseguite all’arpa». […]  l’ultima metamorfosi della versione alata di Deda Cristina Colonna, quella, appunto, nell’Eros birichino dipinto nel 1602-1603, viene isolata in una sequenza autonoma, a cui si accede varcando una soglia e realizzando, per la prima volta, un’interazione anche fisica tra le due interpreti del film: l’‘Amorino-vivente’, introdotto da un gioioso Canario di Kapsperger (1580-1651 circa), pizzica furbetto le corde dell’arpa; e, soprattutto, continua metaforicamente a farlo quando recita un brano tratto dalle Dicerie sacre del Marino (la Diceria II è intitolata La Musica) in cui si celebra l’espressività e la varietà di accenti, toni e modulazioni della voce umana: è il destro, infatti, per realizzare assonanze e imitazioni tra il testo recitato e quello suonato da Mara Galassi, evidenziandone così, in modo suggestivo, la comunanza di tavolozza retorica. […] Giunti al nucleo estetico e spirituale, c’è dunque spazio per una magia di fiori e fiamme, e ancora, percorsa una scala doppia in salita e in discesa (concretando la citazione eraclitea d’apertura), per la danza di una passacaglia senza tempo sul pavimento metafisico a scacchi del coro della basilica di San Marco. Bastano lacerti pronunciati di fonti dell’epoca e i repentini cangiamenti d’espressione e mimica di Deda Cristina Colonnaper tracciare la gloria di Caravaggio a Malta e, subito dopo, la sua misteriosa caduta a «membrum putridum et foetidum». La sequenza conclusiva si snoda lungo le disperate variazioni di Giovan Maria Trabaci (1575-1647) sul madrigale Ancidetemi pur; e di morte parlano le ultime rievocazioni caravaggesche che tre specchi deformanti colorano di mestizia: la Maddalena in estasi, la Deposizione, la Morte della Vergine.
A Mara Galassi va il compito di chiudere il film, mentre si recita da fuori campo il testo della Galeria del Marino dedicato alla morte di Caravaggio: finito di suonare, raccoglie il candeliere posto ai suoi piedi e s’incammina, verso lo spettatore, gradualmente avvolta dal buio. È la musica – ci viene così ribadito – ad avere generato gli effimeri ma vivi e reali bagliori della vita e dell’arte del Merisi pulsanti nel film; calata l’oscurità, allo spettatore – verso cui si dirige colei che alla musica aveva dato vita – il compito di conservare e coltivare la fiammella di suoni e gesti che è stata accesa, il profumo di assoluto che ne è scaturito. Nel 1952 Roberto Longhi scrisse del Caravaggio: «Ciò che egli andava confusamente balenando era ormai non tanto il rilievo dei corpi quanto la forma delle tenebre che li interrompono. Lì era il dramma della realtà più portante».
Davide Verga
Critica d’arte, dicembre 2009
I gesti e i suoni del Caravaggio in un film
Non passa anno, o quasi, che non vi sia qualche nuova attribuzione a Caravaggio di tele ignorate per centinaia di anni. […] Anche le mostre si susseguono in tutto il mondo con una frequenza superiore a quelle di qualsiasi altro protagonista della storia dell’arte […]. All’insieme dei ‘gesti’ caravaggeschi, o meglio alla suggestione spettacolare – a un tempo di colore di danza e di suono – che è possibile ricavarne, era stato dedicato nel 2003 un avvincente progetto basato sulla gestualità e la recitazione della danzatrice e coreografa Deda Cristina Colonna e sulle esecuzioni musicali di Mara Galassi […]. Questo spettacolo è ora diventato u film, grazie alla Fondazione Marco Fodella di Milano. […] Nato come spettacolo teatrale da montare in luoghi diversi, nel film è stato inserito in un unico luogo simbolico particolarmente suggestivo: la basilica di San Marco a Milano […]. IL regista e direttore della fotografia Francesco Vitali, che è stato il light designer della edizione teatrale dello spettacolo, dietro la macchina da presa ha saputo utilizzare al meglio questo sfondo unico […]. Deda Cristina Colonna fornisce il corpo in movimento, la voce che scandisce i testi e i contenuti non verbali che consentono di ritagliare le immagini viventi dagli originali caravaggeschi evocati. Difficile definire questa artista poliedrica, formatasi come danzatrice in Italia e a Parigi, solista e coreografa specializzata nel repertorio barocco, nell’ultimo decennio anche attrice, regista e in particolare assistente di una personalità del calibro di Pier Luigi Pizzi. Indubbiamente si tratta di una interprete emozionante sulla scena (e sullo schermo), dalla figura longilinea e statuaria, capace di controllare le più impercettibili varianti gestuali che creano movimenti plastici di grande seduzione. […] il corpo di Deda Colonna corrisponde meravigliosamente a quello dei modelli o delle modelle di Caravaggio […]. A Deda Colonna è sufficiente far svolazzare la sottoveste bianca e applicarsi due ali pennute per creare davvero l’illusione di librarsi in volo, con lo stesso effetto di leggerezza e stordimento provocato dalla alate figure di Caravaggio. […] Straordinario l’effetto provocato dal riflesso del corpo della danzatrice-Maddalena (o San Sebastiano) in una serie di tre specchi deformanti che agiscono da elementi scatenanti per le metamorfosi finali. […]
Possiamo cominciare a dire quello che questa pellicola non è: non una trasposizione cinematografica di una pièce teatrale; non un documentario; non un film musicale e neppure un balletto. Il film (come lo spettacolo da cui deriva) non usa una sceneggiatura con un testo moderno, bensì incasella quadri come diapositive in una presentazione ed usa le citazioni di testi antichi per far risultare una ‘storia’ dall’insieme di movimenti, colori, luci, suoni e parole. […] In Voluptas dolendi una possibile finalità è di ripercorrere l’arte visionaria del primo grande pittore della modernità, Caravaggio, per imparare a guardare che cosa di lui è rimasto in ognuno di noi. Nella miriade di iniziative espositive o editoriali dedicate a Michelangelo Merisi da Caravaggio, che toccano ormai ogni possibile aspetto anche marginale o insospettabile della sua eccentrica e stupefacente produzione visiva, il contributo di questo film sarà quello, per una volta, di mettere da parte la scandalosa biografia dell’artista, e di farci entrare invece direttamente nel suo sguardo, capace di fissare come fotografie sonore e in movimento l’esistenza quotidiana del suo tempo, non tanto dissimile dal nostro.
Dinko Fabris
In AAM – TAC
N°5, 2008 Fondazione Giorgio Cini Venezia – Istituto per la musica
Pisa, Roma, Fabrizio Sierra Editore, 2009
“Voluptas Dolendi. I gesti del Caravaggio”; dvd Fondazione Marco Fodella
I gesti dei quadri più famosi di Caravaggio, colti con sensibile intuizione nel loro segreto ritmo interno, si raccontano in questo intenso dvd promosso dalla sempre raffinata, colta Fondazione Marco Fodella, che da un elegante spettacolo della stagione di concerti, poi portato con successo in giro per il mondo, ha tratto questo film-documento, intrecciato di pagine rare rinascimentali, affidate all’arpa incantata di Mara Galassi, e di emozionanti evocazioni di passi e parole, con la bravissima Deda Cristina Colonna, evocata dalla regia di Francesco Vitali nei silenzi immoti di San Marco, a Milano. Il dvd non ha solo gesti, ma anche buone gambe: dopo le presentazioni dal Parlamento Europeo di Bruxelles all’Expo di Shangai, sarà stasera a Messina, al Palacultura Antonello, da sabato prossimo all’Ambrosiana di Milano, pronto a ripartire per il Giappone.
Carla Moreni
Il Sole 24 Ore
14 Novembre 2010
 
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