La vicenda dell’”Ottone in villa” di Vivaldi è ambientata nella campagna romana, in un giardino in cui Roma sopravvive solo come un ricordo, un’idea, un pretesto, uno stato d’animo.   La Roma immaginaria di Piranesi, citata in proiezione all’inizio dello spettacolo,  svanisce poi nei fondali  per tornare  di tanto in tanto a ricordare ai personaggi il contesto della loro finzione.
Il giardino di Ottone è un luogo meraviglioso, descritto nel libretto di Lalli con immagini vivide ed evocative dei fasti della scena settecentesca: viali, prospettive, fontane, fiori, un ambiente dove la parola è protagonista – ed è l’unico elemento reale! -, in cui nessuna conversazione può svolgersi al riparo dall’orecchio indiscreto degli altri.   Il giardino, i personaggi, la trama, la scenografia, i costumi, nel nostro spettacolo tutto è parola, tutto è gioco. Nei costumi, materiali e colori si combinano per suggerire un universo in cui la natura svanisce nell’ornamento, il ricamo ed il tatuaggio coincidono, gli svolazzi dei panneggi si fanno solidi, il pieno ed il vuoto concorrono a definire creature a metà tra l’umano e la statua.
Nella recitazione , l’uso del gesto retorico caro al teatro settecentesco contribuisce a fare della parola cantata lo strumento  ideale per questo universo espressivo tra gioco e realtà: “a baroque state of mind”, lo chiamerò parafrasando il titolo della canzone di Billy Joel “A New York state of mind”. 
Nel nostro spettacolo vogliamo ricreare un contesto adatto alla leggerezza della trama,  in cui i protagonisti si misurano con il piacere  della finzione, pronti magari a cambiare personaggio in occasione della prossima replica. A cavallo tra la Roma antica, l’Italia del Settecento ed il teatro contemporaneo, cinque personaggi abitano un luogo immaginario, un mondo fantastico in cui vegetale, animale ed umano convivono, sempre al confine tra lo scherzo e l’allucinazione: un gruppo di intellettuali (settecenteschi, oppure odierni?), mette in scena un gioco che si complica man mano, fino ad arrivare ad un finale labirintico.
Lo spettacolo apre con la proiezione  dell’Appia Antica immaginata da Piranesi. In questo sfondo prende vita l’illusione ed il giardino di Ottone va costruendosi in trasparenza, con gli alberi di agrumi citati nel libretto di Lalli. Al levare del sipario di tulle entriamo nell’azione; nella rotonda di bagni prevista dal libretto Cleonilla esce dalla vasca in una proiezione di acque scroscianti, che si fanno reali nell’evolvere della scena. Caio segue la regia del gioco, nascondendosi in un anfratto previsto a questo scopo nell’architettura del giardino. Sullo sfondo sfilano i cipressi che costruiscono il secondo ambiente, il delizioso recinto di verdi piante sotto vaga collina. Ottone  vive nel giardino accompagnato  una una creatura fantastica – mezzo struzzo e mezzo pavone – che gli fa da animale da compagnia ed anche da trono, quando serve.  Nel giardino  trova posto il “boudoir” di Cleonilla, il tavolino per accomodarsi la testa del libretto, dove le smanie della matrona prendono forme fantastiche in un delirio di acconciature a tema.  Qui avviene anche il massimo artificio di Cleonilla: la menzogna sulla lettera di Caio. Siepi di bosso invadono progressivamente il giardino, costruendo un labirinto mentre si compone la scena finale, in cui si canta il ritorno della serenità, nonostante ognuno abbia una buona ragione per non essere felice, e Decio commenta: “O strano evento, o inopinato giorno!”. Il labirinto prende il posto dell’Appia Antica nella proiezione, il piacere del gioco intellettuale è più forte del richiamo della logica ed alla fine dell’opera un profumo di fiori, un ricordo del giardino in cui si è consumato il gioco resta a chiudere il sipario.
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